Le nuove frontiere della prevenzione

11 dicembre 2017
Le Macchine Volanti, catastrofe naturale

Le nuove frontiere della prevenzione

11.12.2017 | Big data, simulazioni e intelligenza artificiale: così la tecnologia aiuta ad anticipare le catastrofi naturali.

di Marco Tonelli

Il Ravone è un torrente interrato che scorre sotto le vie e le abitazioni di Bologna. In caso di alluvioni o precipitazioni straordinarie potrebbe esondare e allagare le case e le strade della zona sud della città. Una porzione di territorio densamente abitato con decine di migliaia di persone a rischio. Nel 1932, l’esondazione del corso d’acqua aveva allagato la zona, causando una vittima. Fenomeni di questo tipo si sono ripetuti nel tempo: nel 1955, nel 1999, nel 2002 e infine nel 2013, con pesanti danni alle abitazioni.

Per questo motivo, il Ravone è un sorvegliato speciale, almeno per una porzione di sette chilometri. L’analisi del volume d’acqua o la previsione delle precipitazioni sono rilevati in maniera costante dal progetto RainBo: una piattaforma informatica creata per limitare i danni causati dalle esondazioni; analisi dei dati insomma, per la prevenzione del rischio causato dalle mutazioni ambientali e climatiche. E se il nostro paese vive costantemente sotto la minaccia di terremoti, allagamenti o incendi – a causa di un patrimonio edilizio a rischio crolli o di piani regolatori insensati – in molti casi l’innovazione tecnologica può aiutare a evitare gli effetti di questi fenomeni.

Dalle piattaforme informatiche alle tavole vibranti in grado di simulare i terremoti, fino ai droni utilizzati per localizzare i focolai degli incendi (come quelli adottati dal Parco della Maiella, in Abruzzo), nel nostro paese non sono pochi i progetti, i centri di ricerca e le sperimentazioni nate con l’obiettivo di rendere più sicure le città o il territorio in cui viviamo.

“L’attenuazione delle reti cellulari è il segnale che qualcosa sta per accadere”, spiega Lucio Botarelli, dirigente dell’area agrometeorologia Territorio e Clima dell’Arpa Emilia Romagna che è anche il responsabile del team di ricerca di RainBo. Realizzato all'interno del progetto europeo LIFE (una serie di iniziative per prevenire gli effetti del cambiamento climatico), il sistema utilizza variabili come la diminuzione della potenza delle reti mobili, i dati meteorologici (pressione e direzione dei venti, per esempio) o le informazioni misurate al suolo, il tutto combinato con dei modelli previsionali (simulazioni 3D e  analisi basate sui precedenti storici).

“La creazione di un sistema di questo tipo ci aiuta a prevedere, con almeno due giorni di anticipo,  un’esondazione o un allagamento. Utilizzare solo gli strumenti sul posto non serve a nulla, proprio perché rilevano la situazione critica mentre si sta verificando senza nessuna possibilità di mettere al riparo la popolazione”, dice Botarelli.

Ogni modello è diverso dall’altro. “Ci focalizziamo su un torrente di piccole dimensioni ed è chiaro che la nostra piattaforma non può lavorare con fiumi più grandi, proprio perché hanno una conformazione diversa. Per questo stiamo pensando di allargare la sperimentazione”, continua il dirigente. Anche per questo RainBo si sta spostando da Bologna a Parma: l’obiettivo è monitorare l’omonimo corso d’acqua, responsabile di tante inondazioni nella storia della città. “L’idea è di creare due modelli predittivi, applicabili a due tipologie di corsi d’acqua: i torrenti, come appunto il Ravone, e i fiumi, come il Parma. Ma non solo, stiamo pensando di esportare il modello anche nel territorio di Reggio Emilia”.

RainBo è stato pensato come uno strumento per gli addetti ai lavori. Attualmente, la piattaforma è accessibile dai tecnici del comune di Bologna. Allo stesso tempo, però, le informazioni presenti potranno essere fornite anche dagli utenti: “Stiamo pensando anche alla creazione di un’applicazione, con cui i cittadini possono segnalare precipitazioni intense”, conclude Botarelli.

Dalle esondazioni ai terremoti. Se da Bologna ci si sposta a Pavia, la prevenzione si realizza facendo vibrare una tavola mobile. Eucentre si trova nella periferia della cittadina lombarda e all’interno dei suoi laboratori si simulano i terremoti. Un centro di ricerca sostenuto da istituzioni come la Protezione Civile o dall’Istituto nazionale di Geologia e Vulcanologia. Il tutto focalizzato sulla resistenza sismica degli edifici.

“Lavoriamo con istituzioni pubbliche e aziende private e ci occupiamo sia di valutare la tenuta degli edifici che di realizzare nuove strutture”, spiega il direttore dei laboratori Filippo Dacarro. Per farlo, i fabbricati vengono riprodotti all’interno dei laboratori, a volte anche in scala reale. “Abbiamo realizzato anche strutture di quattro piani”, continua Dacarro. Infine, i test: per simulare le scosse vengono utilizzati due grandi piani mobili, uno capace di muoversi su un solo lato, l’altro su più direzioni. E così, all’interno di Eucentre, vengono riprodotti i terremoti del passato, di ogni magnitudo e di ogni tipologia. Il tutto con movimenti di forza crescente, fino ad arrivare alla massima potenza.  

Tra gli episodi simulati c’è anche la serie di scosse che, nei mesi di agosto e ottobre 2016, hanno colpito il Centro Italia. In quei giorni, la squadra della dottoressa Chiara Casarotti è andata sul posto per valutare lo stato di salute degli edifici. Gli ingegneri di Eucentre non si occupano solo della sperimentazione di strutture resistenti, ma anche della cosiddetta “gestione dell’emergenza”, affiancando la protezione civile per l’analisi sul campo delle strutture lesionate.  

Per farlo, utilizzano strumenti complessi e avanzati, che chi non è del settore, spesso, non ha mai sentito nominare. “Quando arriviamo, iniziamo ad applicare dispositivi come il tacometro e lo sclerometro, si tratta di sistemi che permettono di visualizzare lo stato della struttura e di comprendere come si comporta in caso di accelerazioni improvvise. Prima del lavoro sul campo, però, è molto importante anche l’analisi in laboratorio: realizziamo delle simulazioni dei danni che ci troveremo davanti”, dice Casarotti. Per farlo, utilizzano dei sistemi informatici in grado, grazie alle informazioni fornite dalla protezione civile (insieme all’analisi della conformazione del terreno e della tipologia di edifici presenti), di riprodurre lo scenario su cui andranno a intervenire.

Per quanto riguarda il futuro prossimo, Eucentre sta sviluppando una flotta di droni in grado di effettuare rilevazioni anche in zone inaccessibili. “La vera novità non risiede nei droni in sé, ma nei sistemi di lettura e interpretazione dei dati che stiamo implementando. I dispositivi dovranno essere in grado di analizzare la struttura degli edifici o dei terreni sorvolati”, conclude la ricercatrice. Allo stesso tempo, però, la tecnologia messa in campo dal centro di ricerca pavese si scontra con la realtà di tutti i giorni. “Il problema è che i tecnici della protezione civile utilizzano ancora le schede di valutazione dello stato degli edifici (Sae), in formato cartaceo. E spesso per noi è molto difficile reperire i dati e le informazioni che ci servono. Non esiste ancora un database o un sistema informatico e tutto questo è molto frustrante”, conclude.

Oltre alle abitazioni distrutte e danneggiate dopo un terremoto, ci sono anche le necessità delle persone colpite, che, in molti casi, hanno bisogno di beni di prima necessità o si trovano in zone non ancora interessate dagli interventi di soccorso. Allo stesso tempo, la soluzione si può trovare nella creazione di una comunità online e di uno spazio in cui far confluire richieste e informazioni. Terremoto Centro Italia nasce proprio per questo: si tratta di una piattaforma aperta a tutti, in cui gli utenti possono pubblicare segnalazioni (la necessità di un alloggio, la mancanza di luce elettrica) e notizie utili. Ma non solo, nel sito web è presente anche una sezione dedicata a smentire e a spiegare le bufale diffuse nei territori colpiti: dalla magnitudo falsata alle donazioni da parte di Trump e Papa Francesco, fino alla sparizione dei fondi provenienti dagli SMS solidali. Infine, c’è la miniera di dati: le richieste e le problematiche risolte diventano informazioni accessibili a tutti.

“All’indomani della scossa del 24 agosto, io e altri amici avevamo subito creato un gruppo Facebook su cui condividere le prime informazioni provenienti dai luoghi colpiti, poi abbiamo deciso di aprire uno spazio ben definito. Terremoto Centro Italia è nato in maniera quasi fisiologica”, racconta Matteo Tempestini, uno dei fondatori del progetto. Al lavoro con lui, una redazione stabile di 15 persone, mentre la fase di sviluppo ha interessato un team di circa cinquanta persone, tra attivisti e hacker civici.

Allo stesso tempo, Terremoto Centro Italia pone l’attenzione sul tema del controllo della ricostruzione, soprattutto da parte dei cittadini che in quelle zone ci vivono. Questione che viene affrontata anche dalla scuola di monitoraggio e azione civica: un’iniziativa che si è tenuta dal 10 al 12 novembre ad Arquata del Tronto e ad Acquasanta Terme, in provincia di Ascoli Piceno. In quelle zone, devastate dal sisma del 24 agosto, i cittadini diventano i testimoni della rinascita dei loro territori, producendo e utilizzando open data e informazioni sullo stato dei lavori o sulle difficoltà della vita di tutti i giorni. Creato e realizzato da ActionAid, con la collaborazione della stessa piattaforma Terremoto Centro Italia, il progetto prevede l’utilizzo di Mapillary: un’applicazione che permette di caricare e geolocalizzare foto online del territorio, costruendo un flusso temporale (fatto di diversi scatti) delle mutazioni e dei cambiamenti dei luoghi fotografati.

Fino a qui si è parlato di prevenzione del rischio crolli o di modalità partecipative per affrontare l’emergenza causata da un terremoto. Ma per quanto riguarda la possibilità di prevedere le scosse non esistono ancora tecnologie o procedimenti in grado di realizzare pienamente questo obiettivo. Secondo l’INGV,  “ci sono dei ‘precursori sismici’, come la quiescenza: ovvero l'assenza di terremoti per un determinato periodo di tempo, oppure la variazione inconsueta della velocità delle onde sismiche, la presenza di gas radon nelle acque di pozzi profondi e infine i mutamenti nel livello delle acque di fiumi e di laghi, causati da movimenti crostali”.

Queste condizioni permettono solo di fare una previsione approssimativa, ma non consentono di avere le informazioni necessarie per diramare un’allerta precisa. Allo stesso tempo, i risultati a cui sono arrivati alcuni scienziati del Los Alamos National Laboratory (New Mexico) potrebbero far fare alla ricerca alcuni passi in avanti. Guidato da Bertrand Rouet-Leduc, il team ha realizzato un algoritmo che sarebbe in grado di prevedere gli eventi sismici creati in laboratorio, grazie alla capacità di riconoscere i suoni generati dalle fratture di una miscela rocciosa molto simile a quella presente nelle faglie. E se da una parte, come scrive la rivista del MIT (Massachussets institute of Technology), sono tantissimi i dubbi su una sua applicazione in caso di terremoti reali,  dall’altra apre a nuove frontiere della prevenzione.